I segni del dolore. C’è una paziente speciale, una di quelle persone che entrano nel cuore per rimanervi mentre passano gli anni e la vita.
Non è bella e neanche brutta, è una persona che all’aspetto esteriore puoi definire anonima perché si è mimetizzata nel mondo esterno in modo da non essere riconoscibile, da passare inosservata.
L’ho conosciuta molti anni fa, lei era ancora una ragazza e io ero un giovane medico, per un problema di diabete, ho poi continuato a seguirla per visite di controllo, nel tempo lungo delle malattie croniche e con la consuetudine che questo tempo regala, una conoscenza sempre più approfondita che permette di conoscere altri aspetti di una persona.
O. è di origine albanese, capelli scuri e lineamenti regolari, parla un perfetto italiano con un leggero accento, una flessione dura dei dittonghi che fa sospettare senza certezza l’origine straniera e che è diventata metafora della sua vita.
O. è arrivata in Italia appena adolescente su un gommone in cerca di fortuna, di un’esistenza migliore, in cerca del mondo dorato che vedeva in televisione ma ha trovato l’inferno.
È stata coinvolta in un giro di prostituzione, uomini senza scrupoli che la costringevano a “lavorare” in uno stato di schiavitù, senza pietà e senza dignità, come merce umana da utilizzare per il proprio scellerato tornaconto.
O. aveva tentato una prima volta di fuggire ma era stata ripresa, punita con botte e bruciature di sigaretta, che sono ancora oggi il segno sul suo corpo di quell’inferno durato alcuni anni.
Ne abbiamo parlato diverse volte: la prima si vergognava a confessarmi il suo passato pensando forse che io la giudicassi, poi in modo sempre più dettagliato, di visita in visita, mi ha raccontato con le lacrime agli occhi come il suo aspetto fosse diverso, più provocante, il visto truccato in modo volgare e i capelli lunghi, mentre io cercavo di intravedere quella donna crocifissa nella persona dimessa che avevo davanti.
Poi finalmente la fuga, il rifugio nel nord presso un’amica e dopo mesi l’approdo a Roma, il lavoro come cameriera, non in regola ma sempre un lavoro degno di questo nome. L’inizio di una vita diversa, lontano da quell’orrore.
Chi è oggi questa persona?
È una donna anonima, come ho detto, un volto nascosto tra la folla, un fantasma che non vuole vivere, si limita a sopravvivere, una persona di tale candore che solo scriverne mi commuove e che sto piano piano convincendo a tornare alla vita, a uscire, farsi degli amici, farsi una famiglia. Non so se riuscirò, non so se lei vorrà riprendere a vivere – che rabbia e dolore provo per la sua vita distrutta – le cicatrici delle sigarette sono troppo profonde, soprattutto quelle che non si vedono, sono cicatrici di chi si è visto rubare l’anima per un disgustoso mercato.