Cambiare pelle. O. è transessuale. Nella lista dei pazienti del pomeriggio è un nome da uomo, confuso tra altri nomi, un nome che non corrisponde all’identità della persona che mi è apparsa davanti; ormai diversi anni anni fa.
O è una persona alta, sul metro e ottantacinque, grandi spalle e grandi mani, una struttura muscolare decisamente maschile così come maschile è la struttura del volto dalla mascella prominente, gli occhi scuri molto truccati e i capelli neri corvini lunghi oltre le spalle, un naso piccolo frutto di chirurgia plastica a ingentilire i lineamenti da uomo.
O. ha una quinta misura di seno, anch’essa ottenuta con un intervento chirurgico, ostentata sotto una maglietta scollata infilata dentro a una gonna corta, dalla quale spuntano un bel paio di gambe salde su un tacco di almeno dieci centimetri, grazie al quale svetta verso i due metri di altezza, insomma una persona dalla fisicità imponente e particolare.
Molto gentile nei modi, O. parla impostando la voce cercando di modularla e dissimulando un timbro profondo, effetto degli androgeni sulle corde vocali, così come tutta l’apparenza di O. è il tentativo di dissimulare l’azione degli ormoni maschili sul corpo e assumere un aspetto forzatamente femminile.
Con O. ho commesso un grave errore, ho dato per scontato che venisse in visita per percorrere l’etimologia della parola con la quale credevo di definirlo cioè transessuale, ovvero una persona che stia “transitando” da un sesso all’altro e che per tale percorso abbia bisogno di una terapia ormonale in grado di modificare il proprio assetto ormonale.
Io in quella prima visita gli ho chiesto se fosse venuto da me per una terapia sostitutiva con estrogeni e antiandrogeni, di solito preparatoria all’intervento di cambio di sesso.
Lui, o forse dovrei dire lei, mi ha guardato in silenzio per alcuni secondi, poi mi ha detto di no, che era nel mio studio per un problema tiroideo.
In quei secondi di silenzio in realtà O. mi ha detto che non intendeva sopprimere la sua produzione ormonale maschile, che era un uomo sessualmente attivo con un organo sessuale maschile presente e funzionante, mascolinità che coabita con un seno taglia quinta e un trucco carico su occhi e viso.
O. batte e così si guadagna da vivere, così se ne è andato da un paesino della Sicilia, così sopravvive a Roma.
Io faccio un mestiere nel quale il giudizio morale sulla vita degli altri non esiste, non può e non deve esistere, perché ciò che importa è l’essere umano che si ha davanti, la sofferenza della persona che viene in cerca di aiuto.
Eppure quel primo giorno, in quei primi minuti, mentre visitavo quest’uomo molto maschile con artificiosi attributi femminili, dopo avergli fatto la domanda più sbagliata, ricordo una mia sensazione di disagio, di inquietudine legata non alle scelte di vita di O. ma al pensiero di come potesse essere la vita quotidiana di una persona dall’aspetto così originale e artificiale.
Abbiamo parlato a lungo, credo che si sia stupito del mio interesse, e mi ha raccontato di un’esistenza che era e è molto solitaria, isolata dal mondo, divisa tra il marciapiede dove durante la notte tanti uomini vanno a cercarla, gli stessi uomini che di giorno fingono di non riconoscerla, la solitudine delle giornate nelle quali sente su di sé lo sguardo incuriosito e giudicante della gente.
O. non farà il cambio di sesso, ha detto che prima o poi si farà togliere le protesi mammarie, si taglierà i capelli e tornerà a essere un uomo con aspetto completamente maschile, abbandonerà l’innaturalezza del corpo attuale, forse tornerà in Sicilia, forse non lo vedrò più e mi chiedo che ricordo avrà degli anni della sua vita nei quali è stato solo un transessuale sul ciglio della strada, una persona dall’identità fluida con un problema tiroideo, come tanti altri, seguita da un medico che ha cercato di parlare e soprattutto di ascoltare, sperando di non fare altri errori.