La ragazza con la mascherina verde

La ragazza con la mascherina verde

La ragazza con la mascherina verde. Ieri aspettavo una paziente, anno di nascita 1994, e sulla porta dove mi ero avviata per accoglierla, ho visto prima una signora visibilmente agitata e quindi una ragazza magrissima, con la mascherina verde e radi capelli che sfuggivano da un basco di lana. L’immagine della chemioterapia.

Era una delle ultime visite della giornata, ero molto stanca ma, nel tragitto tra la porta e la scrivania, ho cercato di radunare tutte le forze per concentrarmi su questo caso.

Perché porta la mascherina?” le ho chiesto sorridendo, era la cosa più evidente che mostrava, impossibile ignorarla e quindi meglio chiedere direttamente.

Ha iniziato a rispondere la mamma mentre io avevo gli occhi scuri della ragazza fissi nei miei, occhi densi di dolore ma anche di una rassegnazione stanca, indifferente.

Ho saputo così che da tre anni le era stata diagnosticata una gravissima forma di leucemia acuta, che per lungo tempo aveva sottovalutato dei sintomi a causa dello studio – frequentava una scuola d’arte e aveva preso l’ultimo trenta il giorno precedente al ricovero – che ha poi fatto vari cicli di chemioterapia con gravi effetti collaterali, alcuni dei quali non ancora risolti, ma che l’hanno oggi portata a una completa remissione della malattia.

Le ragazze che erano ricoverate con lei sono tutte morte, solo lei è sopravvissuta, attraversando questa terribile esperienza tra i suoi 21 e 24 anni. In anni nei quali altri ragazzi pensano alla vita, a divertirsi, a innamorarsi, a studiare, la ragazza che avevo davanti a me era stata impegnata a sopravvivere, contro le aspettative dei medici che per primi temevano il peggio.

È arrivata da me con una importante riduzione della funzionalità della tiroide, che si può correggere con grande facilità, cosa che ho fatto rapidamente, ma il problema non era solo quello. Io volevo ascoltare il racconto della ragazza, la sua voce sovrastata dalla comprensibile ansia della madre, andare oltre il muro dei suoi occhi delusi, capire perché tutto quel dolore era rimasto intatto dentro di lei.

Le ho chiesto come erano andati i ricoveri, come si era trovata. Finalmente ho sentito la sua voce: stanca ma determinata, “molto bene” mi ha detto, “da un punto di vista medico tutto eccellente visto che sono qui.

Ciò che è mancato è stato il supporto umano, una parola, la comprensione per quello che stavo passando tra la chemioterapia prima e il trapianto poi, le conseguenze sul mio corpo… sa che non potrò avere bambini? Non c’è stato il tempo di salvaguardare gli ovociti e ora sono in menopausa”.

Sulla mia sedia aldilà della scrivania sono rimasta ammutolita, l’avrei scavalcata per abbracciare quella bella ragazza che mi stava dicendo che una parte della sua vita futura era compromessa e che nessuno aveva considerato questo aspetto, perché la sua sopravvivenza era più importante.

Non so se tutto questo sia vero – i reparti di oncologia sono ormai attrezzatissimi da un punto di vista di assistenza psicologica – però è ciò che questa ragazza mi ha riportato, con dolore è la sua verità.

Io mi sono scusata a nome dei colleghi, le ho detto che ho speso buona parte della mia vita professionale a evitare che qualcosa di simile accadesse, che forse poteva leggere questo apparente distacco come una forma di difesa da parte dei medici, sia pure sbagliatissima, perché nessuno ha preparato i medici al carico terribile di dolore cui vanno incontro. Sanno tutto dei globuli bianchi impazziti che devono contrastare ma poco o nulla della persona che li produce, o forse non vogliono saperlo perché “umanizzare” quel paziente porterebbe un dolore intollerabile.

Quello che penso è che potenziare tramite la letteratura il fattore umano dei medici aiuti i medici stessi a sopportare il peso del lavoro che hanno scelto, per me è stato così e sono certa che alcune letture mi abbiano aiutato a portare a termine la visita di ieri, a capire che la mascherina non era più necessaria ma era una protezione simbolica verso il mondo, a trovare le parole per incoraggiare questa splendida ragazza a continuare gli studi perché ora è guarita, e infine a vedere il suo sorriso, quando ha tolto quell’ormai inutile schermo verde, mentre iniziava a fidarsi di me.

Poi mi chiedono perché qui parli sempre di letteratura, in fondo sto parlando di Medicina nel senso più alto del termine.

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