Una carezza sul viso. Ho conosciuto il signor T molti anni fa, quando ero ancora un giovane medico e i miei figli erano piccoli, all’epoca mi sembrava una persona anziana ma, a pensarci ora, doveva avere la mia età attuale.
Il signor T aveva il diabete e questa malattia lo aveva portato alla cecità, una delle conseguenze più temibili di un errato controllo della glicemia.
Lo conobbi così, confinato in un buio popolato di ombre, quando venne da me per una terapia combinata del diabete e di una grave alterazione della funzionalità tiroidea, la cui risoluzione richiese una serie di visite piuttosto ravvicinate.
I miei figli avevano forse sei o sette anni e alle volte mi telefonavano mentre ero al lavoro – penso che le mamme che lavorano possano capire la difficoltà lacerante di lavorare e allo stesso tempo delegare la cura dei figli – così il signor T li conobbe indirettamente, i loro nomi, la loro età e le loro richieste, in un certo senso il loro carattere. Anche io gli chiesi se avesse figli (rifletto ora che nell’anamnesi capita di chiedere dei figli alle donne più che agli uomini, confinando la maternità a un puro fatto di gravidanza e parto, come se in fondo non riguardasse il sesso maschile, solo la donna è per esempio primipara attempata) e seppi che aveva perso una delle due figlie, morta prematuramente di tumore. Me lo disse con grande calma e dolcezza, aveva una voce profonda e vibrante, bellissima, una voce che sembrava risuonare di un dolore che gli occhi non potevano più esprimere. Veniva sempre accompagnato dalla moglie, lui un omone alto e grosso dai capelli scuri, lei una dolce e piccola donna, biondina e rotondetta, a me ricordava la fatina buona di Cenerentola, dedita alla cura del marito in modo quasi soffocante.
Nei mesi che poi divennero anni, in ogni visita, dopo avere concluso la parte strettamente tecnica legata alla terapia, mi chiedeva di Lorenzo e Alfredo – proprio così, usando i loro nomi propri – e io nei mesi che poi sono diventati anni ho risposto che avevano finito le elementari, poi le medie e alla fine avevano finito anche il liceo, che avevano poi scelto facoltà diverse dalla mia, dicevamo “Signor T, si ricorda quando Alfredo mi telefonava sempre e una volta lei ci parlò per telefono? “ e lui “Alfredo sarà un ottimo avvocato”, ricordo di avergli detto che lo avrei invitato alla futura festa delle loro lauree.
Il signor T soffriva la solitudine imposta dall’essere cieco e soprattutto soffriva il fatto di poter più leggere, era molto appassionato di letteratura così mi venne l’idea di cercare un lettore, come aveva fatto Borges, un ragazzo universitario che leggesse per lui alcune ore al giorno, cosa che riempì le sue giornate e ci diede ulteriore motivo di conversazione, si parlava ovviante di Borges che condivideva con lui l’oscurità, ma anche di Pavese, nostra grande passione e di Omero, potevamo escludere il grande cantore cieco?
Alcuni anni fa, alla fine della visita, mentre teneva le mie mani nelle sue, erano mani grandi e calde, mani di un uomo generoso, mi domandò: “Posso toccarle il viso? Voglio vederla” e con le dita sfiorò il mio volto, le sopracciglia, il naso, le guance, la bocca. Non so esprimervi cosa ho provato, in un certo senso ho avuto l’impressione che mi vedesse più di quanto si possa fare con gli occhi, che mi stesse sfiorando l’anima. Poi disse” Lei è bella” e io ho la presunzione di credere che non si riferisse ai lineamenti.
Così da allora ci siamo salutati in questo modo: prima una lunga stretta di mano e poi una sua carezza sul mio viso, che mi commuoveva ogni volta.
I nostri appuntamenti erano semestrali e qualche settimana fa d’improvviso, mentre ero in ambulatorio, mi sono resa conto che non era venuto al controllo da troppo tempo. Quando ho chiamato la moglie sapevo già cosa mi avrebbe detto: il signor T era morto due mesi prima. Non mi vergogno a dire che ho pianto, poi ho chiuso gli occhi e mi è sembrato che mi sfiorasse il viso per l’ultima volta.